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Brutti sporchi e cattivi


Un’umanità brutta, sporca e cattiva, che vive emarginata in una baraccopoli ai margini della metropoli in condizioni di degrado fisico e morale, in cui tutti sono pronti a far tutto pur di galleggiare in un’esistenza anonima e segnata dalla miseria e dall’abbrutimento
Un microcosmo popolato da accattoni e ladri, puttane e truffatori, un’umanità segnata anche fisicamente da tratti somatici spesso ripugnanti, in cui vige una promiscuità in cui non c’è alcuna regola morale, nella quale fioriscono rapporti incestuosi e rapporti proibiti tra e con minorenni; questo è il quadro d’assieme del film di Scola, che indica proprio nel titolo le caratteristiche specifiche di questa massa amorfa di individui che sono per l’appunto brutti sporchi e cattivi.
Siamo alla periferia di Roma, in un campo densamente popolato e strutturato a macchia di leopardo con costruzioni fatiscenti in cui vivono, in condizioni assolutamente proibitive quelli che sono gli emarginati e i reietti della società civile; fra essi spicca la famiglia allargata di Giacinto Mazzatella, un emigrato pugliese privo di un occhio dal carattere dispotico, che alloggia in una baracca in cui vivono due dozzine di persone.

Promiscuità nella baracca

Tra esse ci sono la consorte di Giacinto, la mamma, i figlie le figlie, le nuore che occupano come bestie la cadente costruzione; Giacinto non si fa scrupoli di trattare tutti come animali, assolutamente indifferente a qualsiasi forma di morale. Lo vedremo infatti circuire sua nuora, portarsi a casa una prostituta e imporla come sua compagna alla moglie e al parentame,usare la sua cinica a abominevole morale per dominare e tiranneggiare la pletora di persone che lo circonda, tutti in qualche modo costretti a ruotare attorno alla sua figura.
Giacinto sa di poter dominare gli altri in virtù del possesso di un milione di lire, somma che gli è stata riconosciuta come indennizzo per aver perso un occhio; quel milione ovviamente fa gola a tutti e lui lo nasconde nei luoghi più improbabili, fino a scordarsi talvolta il nascondiglio in cui lo ha messo.

Nino Manfredi

Allora Giacinto diventa ancor più disumano se vogliamo; la sua furia si abbatte su tutti, fino al momento in cui ritrova il denaro e torna quindi ad una dimensione meno diabolica.
Il precario equilibrio della gente della barracca si dissolve il giorno in cui porta a casa Iside, una formosa prostituta napoletana con la quale si è dato alla bella vita, iniziando a dilapidare il suo piccolo gruzzolo.
Per la famiglia è un’onta intollerabile; non è il gesto in se a scatenare le ire, perchè ben altre cose accadono in quella succursale d’inferno che è la baracca, ma è lo spreco di denaro la molla scatenante, perchè su quel denaro ci fanno affidamento un pò tutti.
Così, con un complotto di famiglia grottesco e tragico si arriva alla decisione finale; Giacinto deve morire.
Gli avvelenano la pasta, ma il piccolo Lucifero si salva, perchè è scaltro, perchè assomiglia ad un topo, uno di quelli che infestano il campo; così, conscio di esser stato avvelenato con un topicida, Giacinto si salva ingerendo acqua salata e vomitando il micidiale intruglio.


La sua vendetta scatta puntuale: vende la baracca ad un altro gruppo di disperati, acquista una vecchia auto e si gode la scena dell’arrivo degli emigrati che si scontra con la sua famiglia. Poi da fuoco alla barracca; adesso le famiglie senza casa sono due, ma la soluzione c’è.
E Giacinto torna ad occupare il suo ruolo di re della corte dei miracoli; si fa nascondere il denaro nel braccio che adesso porta ingessato e giganteggia dall’alto del ritrovato potere.
Brutti sporchi e cattivi è un film grottesco all’eccesso, cattivissimo e nichilista, in cui si muove un’umanità sperduta e senza bussola, in cui non c’è un solo personaggio che non risenta della situazione di degrado morale in cui vive.
E la degradazione la avvertiamo in quasi tutte le scenette costruite dal regista, quell’Ettore Scola che con questo film raggiunge le vette della sua poetica; siamo di fronte ad un piccolo capolavoro che riesce nell’impresa di capovolgere gli stereotipi imposti dalla morale corrente, in cui i poveri sono solamente sfortunati protagonisti della vita sociale.
In questo film si ribaltano le prospettive, perchè affiora l’altra faccia di un’umanità fatta di poveri che non sono solo tali dal punto di vista economico, ma lo sono dal punto di vista etico e morale, una massa amorfa priva di dignità e regole, di sentimenti e sopratutto un’umanità istintiva preda delle peggiori pulsioni.


Scola dipinge quindi un sottoproletariato che assomiglia a quello pasoliniano solo per l’habitat nel quale si muove; non ha speranze, questo popolo di disperati e non le ha perchè è marcio dentro, perchè è cattivo di suo, perchè ha un comportamento asociale e anarchico.
Non ci sono leggi che tengano, non c’è armonia o pulizia morale in questo girone dantesco; nella barracca ( e il discorso lo si può allargare a tutto il campo) si vive assieme per opportunità personale, perchè non c’è altro posto in cui ripararsi, mangiare e espletare i propri bisogni.
Emblematica a tal fine la figura della ragazzina che riempie l’acqua per la famiglia; è l’immagine di apertura e la vediamo guardare, con occhi sognanti e ancora se vogliamo puri in direzione della città, che sembra lontana anni luce dall’alto della cupola di san Pietro. La rivedremo nelle scene finali andare ancora a riempire l’acqua, ma questa volta incinta.Un’immagine desolante, ancora stagliata con la città in lontananza, assolutamente indifferente ai drammi di gente che vive esistenze al più infimo livello animalesco.


Scola smonta quindi un mito, quello del povero sfortunato e ne fa un mito all’opposto, creando le condizioni per la nascita di un’altra frazione di sottoproletariato, quello senza speranza e senza futuro.
Un mondo in cui vige una legge della giungla ancor più crudele, perchè popolata da esseri pensanti eppure allo stesso tempo preda degli istinti più ciechi.
Quando nel 1976 il grandissimo regista di Trevico mette mano alla sceneggiatura di questo film è reduce dal successo di uno dei capolavori del cinema italiano, quel C’eravamo tanto amati in cui aveva fatto capolino tutta l’amarezza e il cinismo di un uomo che vede e analizza come farebbe un patologo con un cadavere la vita e la società; è il momento più fecondo e profondo del regista, che di li a poco avrebbe consegnato alla storia del cinema altri capolavori come Una giornata particolare, La terrazza e La famiglia.

Beryl Cunningham

Parte della critica è stata poco indulgente con Scola e questo non deve sorprendere; i critici spocchiosi, abituati a vedere film incomprensibili salutati come manifesto del mondo moderno poco potevano capire di un’ars poetica così amara e cinica, che per certi versi tanto assomiglia a quella di Monicelli, pur essendo naturalmente diversa e di diverso respiro.
Brutti sporchi e cattivi è un film disturbante, amaro e grottesco, cattivo fin nel midollo ed è sopratutto la titanica prova d’attore di Nino Manfredi, che interpreta il satanico Giacinto con una compenetrazione nel personaggio assoluta e totale.
Abbiamo conosciuto bene l’attore ciociaro, tanto da sapere perfettamente che lui umanamente è agli antipodi dal personaggio interpretato; eppure quella caratterizzazione perfetta, quell’aria luciferina, quel suo essere personaggio dannato e senza speranza è così trasfigurato da farci chiedere legittimamente se in fondo nell’animo dell’attore non albergasse una piccola parte di quel Giacinto così splendidamente interpretato.

La prostituta Iside

Perchè Manfredi/Giacinto alla fine sembrano un tutt’uno; e poichè abbiamo conosciuto il Manfredi sornione e ironico, allegro e gentile gli facciamo credito di una capacità interpretativa straordinaria, in questo ruolo che sarà uno dei più intensi realizzati in una carriera straordinaria.
E’ proprio con Scola che Manfredi raggiunge l’apice della sua abilità, della sua capacità di creare personaggi straordinariamente reali.
Ed è con questo film che l’attore ciociaro può, a pieno titolo, fregiarsi dell’immagine figurata di primo degli attori del nostro cinema.

L’avvelenamento di Giacinto

Tornando al film è difficile scegliere scene rappresentative dello stesso, visto il percorso lineare dello stesso, la discesa agli inferi di questo gruppo di umani così poco umani; a dover scegliere obbligatoriamente segnalerei la scena iniziale e quella finale che ho citato con protagonista la ragazzina che perde la purezza iniziale proprio in virtù del lassismo morale che impera nella barracca, la scena del congresso carnale tra uno dei figli e la cognata avvenuto all’interno della barracca stessa mentre tutti dormono e segnata dalla frase “Ahò, la faccia da mignotta ce l’hai, er fisico pure. nun vedo perché nun dovresti esse all’altezza della situazione“, l’oltraggioso rapporto tra uno dei fili e Iside (la prostituta) anch’esso caratterizzato dal fulminante assunto “Sono uno di famiglia“, il primo incontro tra Giacinto e Iside sotto un gigantesco cartellone pubblicitario, uno dei totem della civiltà dei consumi oppure la scena più grottesca  e cattiva del film, il momento in cui buona parte della famiglia accompagna la vecchia nonna a riscuotere la pensione, un corteo di straccioni che invade le strade di una Roma indifferente e repellente.

L’incendio della baracca

Un film contestato, a volte poco capito e che ha diviso come in pochi casi il pubblico e la critica; segno della vitalità, della forza dirompente di una pellicola capace di generare discussioni violente, riflessioni e capace di sovvertire canoni precostruiti.
Un viaggio all’inferno e nell’inferno, dal quale siamo fuori, fortunatamente.
Forse.

 

Brutti sporchi e cattivi
Un film di Ettore Scola. Con Nino Manfredi, Marcella Michelangeli, Marcella Battisti, Francesco Crescimone, Silvia Ferluga, Zoe Incrocci, Adriana Russo, Franco Marino, Ennio Antonelli, Beryl Cunningham, Ettore Garofalo, Maria Bosco Commedia, durata 115′ min. – Italia 1976.

Nino Manfredi: Giacinto Mazzatella
Francesco Anniballi: Domizio
Ennio Antonelli: l’oste
Marcella Battisti: Marcella Celhoio
Maria Bosco: Gaetana
Giselda Castrini: Lisetta
Francesco Crescimone: il commissario
Beryl Cunningham: la baraccata di colore
Alfredo D’Ippolito: Plinio
Giancarlo Fanelli: Paride
Silvia Ferluga: la maga
Marina Fasoli: Maria Libera
Ettore Garofolo: Camillo
Zoe Incrocci: la madre di Tommasina
Franco Marino: padre Santandrea
Marco Marsili: Vittoriano
Franco Merli: Fernando
Marcella Michelangeli: impiegata postale
Clarisse Monaco: Tommasina
Linda Moretti: Matilde
Luciano Pagliuca: Romolo
Giuseppe Paravati: Tato
Aristide Piersanti: Cesaretto
Silvana Priori: Moglie di Paride
Giovanni Rovini: la nonna Antonecchia
Adriana Russo: Dora
Maria Luisa Santella: Iside
Mario Santella: Adolfo
Assunta Stacconi: Assunta Celhoio

Regia Ettore Scola
Soggetto Ruggero Maccari, Ettore Scola
Sceneggiatura Ruggero Maccari, Ettore Scola
Produttore Carlo Ponti
Fotografia Dario Di Palma
Montaggio Raimondo Crociani
Effetti speciali Fratelli Ascani
Musiche Armando Trovajoli
Scenografia Luciano Ricceri, Franco Velchi
Costumi Danda Ortona
Trucco Francesco Freda

giugno 4, 2012 - Posted by | Drammatico | , ,

3 commenti »

  1. Che ne dicano critici,(re)censori,opinionisti e dizionari non mi interessa affatto,per me questo film è il capolavoro assoluto di Scola.Pesantemente grottesco,amaro a più non posso,pessimista al limite del pessimismo stesso,veramente drammatico e dissacrante a dir poco,il regista campano ha giocato alla grande questa carta,con il risultato di un gioiello autentico del cinema italiano,specialmente del genere grottesco.L’ambientazione in mezzo alle baracche su di una collina sul conosciutissimo Viale Francia zona Roma nord ovest(dopo il foro italico)tra rottami di vecchie auto,immondizia e ratti,è un qualcosa di a dir poco suggestivo,che ti rimane nel segno anche dopo 2 anni che non vedi il film.A dar man forte alla suggestione del film è un assolutamente magistrale Nino Manfredi,”padrone” più che mai del rozzo,cafone,amaro e al limite del disumano Giacinto.Il personaggio esordisce in maniera grottesca e questo senso di grottesco aumenta man mano che il film va avanti fino alla bellissima scena dell’avvelenamento da parte dei familiari avidi per impossesarsi dell’idennità del capo familgia,il quale proprio in quel preciso momento raggiunge il suo apice di disumanità e rozzaggine.Tutto è così esagerato,ma non troppo visto che a detta di alcuni romani doc cose così accadevano realmente nelle borgate romane,ma è per questo che è un capolavoro questo film.Credo che la critica sia stata troppo approssimativa nel giudicare questo film.

    Commento di Beppe | giugno 4, 2012 | Rispondi

    • Assolutamente d’accordo; l’unica differenza in questo caso la fa un film, C’eravamo tanto amati che per me resta il film più bello di Scola.Ma sono sottili differenze, quello che hai scritto mi trova concorde.Ciao

      Commento di paultemplar | giugno 4, 2012 | Rispondi

  2. Secondo me “C’eravamo tanto amati” e “Brutti sporchi e cattivi” sono ex aequo,anche se “Brutti sporchi e cattivi” ha più effetto,più anticonvenzionale,anche per il periodo.Trattasi ad ogni modo di due film completamente diversi anche se di uguale fattura e cioè eccellente.Ciao.

    Commento di Beppe | giugno 4, 2012 | Rispondi


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